Chi vive a Roma probabilmente se la ricorda. Vestiva sempre di nero, il suo nome era Greta ma si faceva chiamare Italia o con altri nomi di nazioni.
Accartocciata su se stessa, passava ore a preparare rose da vendere nei ristoranti. Perennemente seduta in questa sua attività sulle scale del Pantheon o a Campo de’ fiori. Sembrava ultracentenaria, ma in realtà non doveva avere più di settantacinque anni, portati malissimo. Piccolina, con una leggera gobba. Più che una malformazione fisica sembrava un’attitudine del corpo. Sempre china sulle rose. Mai una parola. Solo quel gesto di porgerti un fiore, per avere mille lire in cambio.
Una sera dell’estate 1990, ad agosto, quando Roma racconta alcune delle sue verità più profonde a chi ha voglia di starle ad ascoltare, in uno dei miei tanti vagabondare alla ricerca di stupori di cui non ero e non sono mai sazio, mi sedetti vicino a lei. La incrociavo spesso e mi incuriosiva. Dopo un po’ che ero lì le comprai una rosa. Era una scusa per parlarle. Niente da fare. Me la vendette nel più assoluto silenzio. Rimasi ancora a lungo. Non mi degnò neppure di una parola, o di uno sguardo. Ad un certo punto, scocciato, feci per andarmene.
– Ormai le rose non le regalano più alle donne – mi disse inaspettatamente.
La voce era dolce e sembrava impossibile che potesse abitare nel suo corpo.
– Si, è vero – risposi – non c’è più poesia in giro –
Non l’avessi mai detto.
– Eh! Che belle le poesie – aggiunse lei.
– Ti piacciono? – le chiesi.
Non mi pareva vero che avesse preso a parlare.
– Se mi piacciono? Ma cosa credi? Che abbia sempre venduto rose nella vita? Pier Paolo non faceva uscire un libro senza prima avermelo fatto leggere! –
– Pier Paolo chi? – domandai sorpreso
– Pasolini. Pier Paolo Pasolini – rispose senza scomporsi.
Rimasi stupito e perplesso.
– Si fidava di me – seguitò la donna – una volta, in una cena con tantissima gente, lo disse a tutti. Doveva uscire la sua raccolta, La religione del mio tempo e disse che il libro poteva finalmente uscire, perché gli avevo dato il permesso. Mi raggiunse dall’altra parte del tavolo e mi regalò una rosa. Eh! In quella raccolta di poesie ce n’è una straordinaria. Che bella quella poesia! –
Restai basito. Come se non bastasse la sorpresa per il fatto che si era decisa a parlarmi, ora si riferiva a Pasolini come fosse un suo vecchio amico. Per di più aveva citato una sua raccolta con la stessa padronanza di una navigata critica letteraria. Cominciai a pensare che mi stesse dicendo il vero.
– Non conosco questa raccolta. Hai detto che contiene una poesia bellissima. Ti ricordi il nome? –
A quel punto si mise a ridere
– Il nome? Ma vuoi scherzare? Ricordo proprio la poesia –
– Dici davvero? E… – non sapevo come chiederglielo – ti andrebbe di dirmela? –
I suoi occhi, che fino a quel momento non mi avevano degnato di uno sguardo, cominciarono a fissare una delle sue rose, alla quale continuava ad affinare il gambo con una specie di coltellino. Dopo poco iniziò a recitare.
– Si intitola A un papa –
La recitò tutta d’un fiato. Venni letteralmente rapito dalle sue parole. Una poesia bellissima che non conoscevo. Quando arrivò ai versi: “lo sapevi, peccare non significa fare il male; non fare il bene, questo significa peccare. Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto; non c’è stato un peccatore più grande di te”; mi vennero i brividi. Ero estasiato.
– Hai capito il papa? – continuò lei – Eh! Nemmeno una rosa può comprare il papa! Non sarebbe conveniente che lo facesse! –
Poi sbottò di nuovo a ridere. Mi alzai quasi di scatto e le dissi.
– Torno subito –
Andai di corsa a comprare “La religione del mio tempo” di Pier Paolo Pasolini. Fu un acquisto fulmineo. Subito dopo tornai dalla donna delle rose, al Pantheon.
– Guarda! L’ho comprato! Ecco la poesia: A un papa!
Sempre senza guardarmi mi disse:
– Di la verità! Non ti fidavi vero? –
Provai imbarazzo e abbozzai qualche scusa d’occasione
– No, non è per questo –
Non fui convincente e la donna si nascose di nuovo in un profondo silenzio. Non disse più nulla.
Dopo un po’, mi alzai facendo l’atto di andarmene. A quel punto, per la prima volta, mi guardò.
– Lo sai? Io e Pier Paolo eravamo fidanzati, ma lui non voleva che lo sapesse nessuno. Mi credi? –
– Si – le risposi.

 

fonte:
LA FIDANZATA DI PASOLINI  (di Carmelo Albanese)