L’ultimo degli undici grandi acquedotti dell’antica Roma fu fatto costruire dall’imperatore Alessandro Severo intorno al 226 di punto a.C.: quasi cinque secoli dopo il primo; l’acquedotto è conservato quasi per intero.
Esso poté giovarsi delle migliorate capacità tecniche offerte dai tempi e, in particolare, dell’uso dell’opera laterizia che la rese leggera ed economica e consentì di realizzarla in gran parte sopra terra mediante una serie continua di arcuazioni. Le uniche interruzioni furono in corrispondenza delle colline che vennero attraversate con un cunicolo sotterraneo. Il percorso fu di chilometri 22 e la portata giornaliera intorno ai 22.000 metri cubi.
Le sorgenti si trovavano circa un miglio a sud del XIV miglio della via Prenestina, circa 3 km al nord dell’odierna Colonna; le stesse sorgenti nel 1585 furono riprese da Papa Sisto V per la sua Acqua Felice (il primo acquedotto romano dell’età moderna che riutilizzò in gran parte anche l’antico sistema di captazione delle acque).
Dopo il bacino di raccolta esso attraversava la zona meridionale dell’odierno Pantano Borghese sopra una massiccia costruzione e proseguiva quindi con lunghi tratti di viadotto per un totale di 177 arcate quasi tutte ancora esistenti. Superati i fossi di torre Angela con 34 arcate, di Vallelunga con 120 arcate, di Centocelle con 140, raggiungeva nuovamente (in un percorso sotterraneo) la via Labicana (odierna Casilina) nella zona di Tor Pignattara.
Entrava in città a Porta Maggiore e da qui, per raggiungere il campo Marzio zona zona di arrivo, l’acquedotto passava per la zona di Termini e per il Quirinale discendendo poi verso la valle del Tritone. L’acquedotto fu sottoposto a numerosi interventi di restauro condotti al tempo di Diocleziano e sul finire dell’VIII secolo, sotto Papa Adriano primo.
fonte: Romolo Staccioli – Gli acquedotti di Roma antica – ed. Newton